«Forme della critica» di Carlo Galli

di Lorenzo Mesini

 

 

Con il suo ultimo libro pubblicato presso il Mulino Carlo Galli consegna al pubblico la versione più matura e aggiornata del suo contributo filosofico nell’ambito della storia del pensiero politico occidentale. Il volume ha il pregio di riunire una selezione di testi dell’Autore precedentemente pubblicati altrove (volumi, riviste accademiche), offrendoli al lettore in una forma aggiornata entro un quadro teorico unitario e coerente. Pur all’interno di una solida cornice di matrice filosofica, il libro si colloca all’incrocio di diverse aree tematiche e disciplinari: diritto, dottrina dello Stato, relazioni internazionali, storia della filosofia e dei concetti politici. Oltre che con alcuni dei principali esponenti del pensiero politico dell’età moderna e contemporanea (Machiavelli, Hobbes, Hegel, Marx, Nietzsche, Schmitt e Benjamin) Galli si confronta con importanti nodi teorici della storia del pensiero e con le diverse interpretazioni che ne hanno segnato lo sviluppo fino ai giorni nostri. È un importante sforzo di sintesi quello compiuto da Galli per fare emergere quella «continuità tematica, metodologica, teoretica» che attraversa il suo lungo percorso di ricerca scientifica (p.7). La specificità di questa sintesi può essere illustrata efficacemente richiamando l’attenzione sulle tre dimensioni, reciprocamente connesse, entro cui essa si articola: teorica, (auto)biografica, storiografica. La prima consente di mettere in luce lo specifico paradigma filosofico che emerge dai saggi raccolti nel volume; la seconda, quella (auto)biografica chiama in causa la fisionomia intellettuale dell’Autore e lo specifico percorso filosofico di cui essa è il frutto; infine la terza, quella storiografica, richiama l’attenzione sullo specifico paradigma storiografico che supporta e fornisce profondità storica alla prestazione filosofica dell’Autore.

È uno specifico paradigma filosofico quello che il libro consegna al lettore nelle sue articolazioni interne. Tale paradigma – di cui Galli nell’introduzione offre un’efficace panoramica per tesi – è riassumibile come segue. L’esercizio della critica, secondo forme diverse, costituisce l’essenza della filosofia. La critica segna il perimetro dell’attività filosofica oltre la quale si colloca la prassi. L’obiettivo della critica – prosegue Galli – consiste nel fare emergere il rapporto irrisolto tra mediazione e immediatezza, il nichilismo presente all’origine della ragione moderna, della sua storia e delle istituzioni che ne discendono. In quest’ottica la teologia politica si configura come una delle possibili forme – accanto alla critica dell’economia politica (il marxismo nelle sue diverse declinazioni) e alla biopolitica (una costellazione di posizioni comprese tra Foucault, Agamben, Esposito) – attraverso cui è possibile declinare la critica della ragione moderna e delle sue mediazioni. La teologia politica – con la sua specifica radicalità – rappresenta la declinazione filosofica della critica a cui Galli approda nel suo percorso. La cifra metodologica del paradigma filosofico proposto nel volume consiste da un lato nella critica della storia del pensiero politico moderno (delle sue figure e delle questioni teoretiche di fondo), dall’altro in uno specifico modo di intendere e guardare alla politica e alla società che Galli definisce «realismo critico» (p.8).

La recensione, pubblicata il 14 ottobre 2020, continua in «Pandora Rivista».

 

Carlo Galli, primo: revocare la pretesa di legittimità del già dato

di Rolando Vitali

 

Ph 225

 

Lettura concettualmente densa e rigorosamente analitica, l’ultimo piccolo libro di Carlo Galli, Forme della critica (il Mulino, pp. € 25,00), riunisce lavori degli ultimi vent’anni che interrogano alcune delle questioni fondamentali della disciplina. Sono pagine in cui emerge tutta l’eredità che l’autore deve al pensiero negativo, mediato da Schmitt e Nietzsche.

 

Il tentativo è presentare la continuità di una ricerca scientifica che «vorrebbe definirsi matura», mostrando in actu exercitu quello che Galli chiama «realismo critico». Il concetto di critica sta infatti al centro del libro: in quanto categoria costitutiva del moderno, la critica vede il suo stesso esercizio a comprometterne la legittimità. L’odierna «crisi della critica» rappresenta per Galli l’esito di quel movimento di autoaffermazione della ragione – come produzione di ordine – che costituisce l’essenza stessa della modernità.

 

«La parabola della critica verso l’immanenza» conduce al suo collasso. Di qui la necessità di «una critica che aderisca all’esperienza reale senza annullarvisi». Assumere la posizione di un «realismo critico» significa revocare la pretesa di legittimità di ciò che è già dato, esercitando un «pensiero in movimento» che, pur rinunciando al sistema, sappia porre in luce il nesso sistematico della società.

 

La recensione, pubblicata il 20 dicembre 2020, continua in «il manifesto»

 

Carlo Galli e la filosofia come critica del presente

di Enrico Cerasi

 

Ph 222

 

Se la filosofia avesse una giustificazione, se l’avesse al cospetto della disperazione, sarebbe “il tentativo di stabilire prospettive in cui il mondo si dissesti, si estranei, riveli le fratture e le sue pieghe”; ma “senza arbitrio e violenza, dal semplice contatto con gli oggetti”. Così Adorno nell’ultimo aforisma dei Minima moralia. Penso che l’ultimo lavoro di Carlo Galli, Forme della critica. Saggi di filosofia politica (il Mulino, Bologna 2020, pp. 286) sia consonante con il programma del francofortese. Ma diversamente da quest’ultimo, da anni Galli è convinto che, accanto alla biopolitica e alla critica dell’economia politica, la teologia politica sia lo strumento più adatto a rivelare le crepe del presente – o, come preferisce esprimersi, a “far emergere il nesso non neutralizzato tra mediazione e immediatezza”.

Convinto che il destino della modernità sia “essenzialmente fare i conti col disordine, senza che si possa pensare un ordine dato” (p. 149), affidando all’ineliminabile contingenza della storia, all’anomia, il compito di produrre nomos e ordine, Galli vede nella teologia politica la forma di pensiero critico più adeguata alla condizione moderna. Se la critica è l’essenza della nostra condizione, addirittura “l’autobiografia filosofica del Moderno” (p. 16), se insomma siamo destinati a un rapporto non ingenuo col nostro tempo, la teologia politica si oppone alla modernità “portando alla luce un resto – l’opacità non razionale, l’immediatezza, che comporta in sé la coazione alla mediazione, alla forma, a pensare metafisicamente e a organizzare la politica come rapporto di comando-obbedienza […] a cui la politica moderna, nei suoi sviluppi e nelle sue categorie, non si è potuta mai sottrarre” (p. 59).

Contestando alla modernità l’assunto che la sua pretesa emancipatrice sia in buona fede, la teologia politica sembra dunque la più efficace auto-critica della modernità, accanto e oltre altre forme della critica come quella dialettico-negativa dei francofortesi o quella decostruzionista della scuola francese.

La recensione continua in «Italian Thought network», giugno 2021